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Immigrazione femminile in Italia: la storia di Gulala Salih

Attraverso il dossier Openpolis "Il doppio ostacolo delle donne straniere nel percorso di emancipazione" e come si evidenzia nell'ultimo report IDOS, da oltre mezzo secolo le donne sono protagoniste del fenomeno migratorio in Italia. Basti pensare che fin dagli anni ’70 la maggior parte sono arrivate nel nostro Paese stimolate da una migrazione legata a fattori socio-economici.


Nello specifico, l'immigrazione femminile in Italia evidenzia una realtà composta da donne dinamiche, autonome e protagoniste del proprio percorso. Un esempio lampante è sicuramente quello dell'attivista kurda Gulala Salih che, oggi, lavora su territorio italiano a supporto delle tante donne che riescono a trovare spazio nella società.

Immigrazione femminile: fare rete per migliorarsi a vicenda

«Negli anni in cui ero in Kurdistan essere un oppositore era pericoloso e discriminante e, ad oggi, la situazione non è cambiata di molto - racconta Gulala Salih - Al contrario, da quando sono arrivata in Italia ed ho avuto la possibilità di fare rete ne ho approfittato per aiutare gli altri. Il termine non è del tutto adatto ma rende l'idea di libertà che in passato mi è mancata. Tutto quello che abbiamo vissuto in Kurdistan, come popolo legato all'identità kurda, continua a darmi la spinta per impegnarmi e andare avanti nelle mie battaglie sociali.


«Provengo dalla regione del Kurdistan autonomo dell'Iraq - continua Gulala - Questa terra è stata divisa circa un secolo fa da Paesi come Francia e Gran Bretagna. Nello specifico, nel 1916 fu stipulato un patto chiamato Sykes-Picot o per meglio dire "Accordo sull'Asia minore" che definiva le rispettive sfere di influenza nel Medio Oriente dopo aver assistito alla sconfitta dell'Impero ottomano nella Prima guerra mondiale. Quindi il Kurdistan è stato diviso tra Iraq, Siria, Iran e Turchia principalmente per scopi legati al petrolio e per gli interessi dell'Occidente».

Immigrazione femminile: i fattori legati all'identità sospesa

Il fattore migratorio pone dei limiti soprattutto alla propria identità quasi come un equilibrio precario. Si sviluppa una doppia appartenenza legata sia alla società ospitante, sia al Paese di origine, provocando inevitabilmente una difficile collocazione che può essere definita inter-dimensionalità identitaria. Questo fenomeno equivale all'impossibilità di sentirsi completamente parte di una collettività.


«Guerra e persecuzioni hanno da sempre regnato nel nostro territorio - spiega Gulala - pur combattendo quotidianamente per l'indipendenza del Kurdistan, le nostre identità erano "sospese". Nello specifico, non potevamo né parlare, né presentarci come kurdi. Inoltre, non avevamo né il diritto allo studio, né alla nostra cittadinanza. Al contrario siamo sempre stati legati alle amministrazioni che ci hanno occupato e per questo continuiamo ad appartenere al Governo iracheno. E' stato per noi obbligatorio parlare e studiare nella lingua occupante».

La discriminazione sociale stimolo per la libertà

«Provengo da una famiglia che è sempre stata in prima linea per la difesa dei diritti del Kurdistan - conclude Gulala - Confesso per la prima volta che io e i miei parenti siamo sempre stati discriminati doppiamente sia per essere kurdi, sia per appartenere ad un preciso schieramento politico che andava contro l'ideale di massa.


Proprio per questo, da quando sono arrivata in Italia ho iniziato a battermi per ogni minima discriminazione sociale avendo ricevuto finalmente la libertà che ho sempre desiderato. Il mio progetto è quindi quello di aiutare in particolare le donne arrivate da poco in Italia, a creare una rete di lavoro, confronto e protezione ».



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